Quando agli inizi degli anni Ottanta, per proseguire nei Novanta, si affermò nel mondo delle arti un ritorno alla tradizione, all’estetica del Rinascimento con il movimento classicista poi battezzato in vari modi, soprattutto in ambito architettonico e stigmatizzato in una epocale installazione portoghesiana alla Biennale di Venezia del 1980 (la “Strada Novissima”), già era in auge questa tendenza nell’arte pittorica e in quella scultorea.
Varie e multiformi furono subito e comunque le varie definizioni o sottocategorie specifiche per il movimento come arte anacronista, citazionista o semplicemente classicista. Riferiamoci quindi a quest’ultima categoria in cui si ritorna tout court al passato e basta senza tanti artifizi dipingendo con i colori e sulle tele come fa- cevano gli antichi e per antico intendiamo il figurativo senza grilli per la testa, ovvero da Cimabue ad Hayez, insomma un ritorno alla pittura colta che fu detto anche, un nome da parte di ogni critico a questo punto fu d’obbligo, Ipermanierismo. In Italia eccelsero in pittura, sostenuti da critici quali Calvesi, Mussa, Tomassoni, Romani Brizzi e pochi altri, artisti poi riconosciuti anche internazionalmente come Carlo Maria Mariani, forse il primo, Stefano Di Stasio e Paola Gandolfi, Omar Galliani, Ubaldo Bartolini, Franco Piruca, Marco Rossati e altri più recenti fra cui l’ottimo Roberto Ferri.
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