Eccolo il nuovo disco di Garbo. Un film, un romanzo, una filosofia oppure un atto politico.
Non è un disco nuovo. È forse qualcosa che ha la meritata ambizione di essere altro. Tanto altro. Se possibile, penso che questo sia il momento più alto di Renato Abbate. Penso che questo sia il “disco” capolavoro di Garbo. Nel vuoto non è etichettabile, non si coccola dentro i cliché, non svende mera ricerca tout court per accogliere le nuove tendenze dentro cui ormai troppi manovrano le macchine digitali con destrezza futuristica (ma non futuribile). Non è neanche una prova di stile, potendoselo permettere visto che ormai sono quasi 50 gli anni che Garbo ha di musica e di mestiere. Nel vuoto penso sia un personalissimo manifesto di saggezza, di vera consapevolezza, quel prezioso traguardo spirituale dentro cui si capisce quanto importante sia l’essere e non l’avere. Garbo sa cucire a sé la forma canzone ma ormai lo fa con una distanza super partes che restituisce alle canzoni stesse il libero arbitrio di documentare in eterno il tempo e cambiare la forma allo spazio delle cose terrene. Nel vuoto vale il lusso dell’esperienza, dell’attesa e non solo di un semplice ascolto. Perché non è un disco soltanto… Lo dichiari sin dalla prima frase: “Guarda quanta gente pesa poco o niente dentro le città, c’è tanta polvere che occupa la vita…”. Che questo disco sia un “manifesto politico” in senso romantico? Potrebbe… non è nato con questa intenzione ma c’è anche questa sfumatura….
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