JULA DE PALMA * “La donna che visse due volte, anzi tre” Intervista

Mai così tanto tempo mi è passato in fretta, sprofondato in un comodo divano, in un elegantissimo appartamento del centro di Toronto. Perché la straordinaria Jula De Palma, professionista qual è ma soprattutto donna di energia e simpatia rare, mi ha affascinato con i suoi amarcord a tratti velati di malinconia, per un mondo patinato che oramai sembra ineluttabilmente perduto. Ma non dimenticato! Grazie a Paolo Limiti e a Paolo Piccioli che mi hanno permesso di conoscerla e di appassionarmi a lei.

La prima volta che cantai in pubblico, a teatro, la canzone era Summertime, e di me gli spettatori potettero vedere solo un braccio! Un braccio? Sì, un braccio, e per giunta dipinto di nero! Ma ti spiego il motivo. Da ragazza, pur avendo già la passione per il jazz e le canzoni americane, cominciai facendo teatro in una compagnia di giovanissimi, tra i quali c’erano Alberto Lio- nello e Sandra Mondaini, diretti dalla regista Irma Vassia che ricordo con tanto affetto. Tra una recita e l’altra, finii il liceo e presi il diploma di Cambridge in Lingua e Lette- ratura inglese al British Institute di Milano. La signora Vas- sia, sapendo che canticchiavo in lingua inglese, un giorno mi telefonò e mi propose di cantare uno spiritual nella pièce Il mulatto, al teatro Olimpia di Milano. Protagonista la grande attrice Tatiana Pavlova: io avrei dovuto interpre- tare uno spiritual perché pur essendo una ragazzina, se- condo lei avevo una bella forte voce di contralto. Siccome il pubblico doveva credere che a cantare fosse una donna di colore, per creare quella illusione mi piazzarono senza tanti complimenti dietro una quinta in cui era stata creata una finestra dalla quale si intravedeva solo il mio braccio dipinto. E andò tutto liscio. Il mulatto andò molto bene e tenne cartellone per un mese intero. Il teatro perse una attrice e guadagnò una cantante.

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Lucio Nocentini

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