La censura applicata in campo musicale nel nostro Paese non si è limitata a tagliare o imporre modifiche su titoli e testi delle canzoni, ma è andata ben oltre la legittimità in forza del monopolio che la TV di Stato possedeva, tanto da poter influenzare case discografiche e festival nazionali e decidere chi fosse “adatto” a scalare il successo e chi no, aldilà del valore artistico.
In quell’epoca; siamo tra gli anni ‘50 e ‘70, l’organo legislativo della censura nei riguardi dell’intrattenimento musicale veniva gestito prevalentemente da funzionari e dirigenti Rai, oltre che dai magistrati che di sovente dovevano accogliere pubbliche denunce e proteste di associazioni varie nei confronti di contenuti musicali o trasmissioni televisive in cui erano forse sfuggiti al controllo, inflessioni e pronunce ambigue.
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